A parità di condizioni

delle cause e degli effetti

A parità di condizioni

Delle cause e degli effetti e dei loro improbabili legami

(Seconda parte)

di Marinella De Simone

Cause, memoria, tracce, la storia stessa dell’accadere del mondo, quindi, possono essere solo prospettiva: come il roteare del cielo, un effetto del nostro peculiare punto di vista sul mondo… Inesorabilmente, lo studio del tempo non fa che riportarci a noi.

(Carlo Rovelli, L’ordine del tempo)

Non possiamo chiamarci fuori dal legame tra causa e effetto: questo legame dipende anche – e soprattutto – da noi. Eppure, riportare a noi la responsabilità del legame causale sembra davvero una forzatura.

Possibile che non esista un legame oggettivo tra una causa e il suo effetto? Nel pensiero lineare sì. Nel pensiero lineare esiste una linea di eventi collegati direttamente tra loro in cui l’evento A causa l’evento B. Il presupposto del legame causale è: “a parità di condizioni”. Ma quando è possibile parlare di parità di condizioni? Solo in situazioni totalmente sotto il nostro controllo: consideriamo tutto il resto come nullo – che equivale a dire totalmente fermo, come se non esistesse – e dal nulla estrapoliamo un unico evento (la causa), dal quale consegue un altro, unico, evento (l’effetto). E queste situazioni sono riproducibili infinite volte, e sempre si riproporranno in modo identico. Tali sono le condizioni definite sperimentali.

Applicare questo criterio in generale a ciò che ci accade – come siamo abituati a fare – significa continuare ad applicare le stesse modalità di analisi alle multiformi interconnessioni tra gli eventi.

Multiformi: gli eventi possono avere effetti locali ed effetti globali; anche qui, cosa sia locale e cosa globale dipende dal nostro punto di vista sul mondo, ovvero da cosa perimetriamo come l’uno e come l’altro.
Interconnessioni: gli eventi non sono solo connessi tra loro, come una catena tale per cui un effetto sul primo anello – o su un qualunque altro anello – genera, appunto, effetti a catena su tutti gli altri anelli. Gli eventi sono anche “inter-connessi”. Ciò significa che la catena che li collega è anche chiusa ad anello: gli effetti del cambiamento ritornano al punto iniziale creando un circuito ricorsivo di amplificazione degli effetti, il cosiddetto loop.

Attenzione: amplificazione non significa solo un aumento esponenziale; può significare anche una diminuzione esponenziale. Un esempio è il riscaldamento globale, con cui abbiamo sia loop di aumento esponenziale (lo scioglimento dei ghiacciai) sia loop di diminuzione esponenziale (estinzione di specie animali e vegetali). Mentre per i legami lineari tra gli eventi sarebbe meglio parlare di “regolarità”, per le multiformi interconnessioni tra gli eventi sarebbe meglio parlare di “correlazioni”, in modo da superare la prospettiva di un legame causale.

Superare il legame diretto tra causa ed effetto comporta il mettere in crisi il legame temporale tra gli eventi, e viceversa. Creando un prima e un dopo si interrompe il flusso, si blocca – idealmente – il processo di interconnessione, creando delle fratture che vengono cristallizzate in cause ed effetti. La causa nel passato è altamente improbabile per la sua particolarità: essa appare ordinata per noi che possiamo distinguerla da un flusso disordinato di eventi. Diviene il nostro “a parità di condizioni”.

Considerare gli eventi come multiformi e interconnessi comporta rinunciare a un inizio e a una fine del processo. Qualunque punto innesca il processo circolare. Qual è allora la causa? Qualunque elemento del processo è, indifferentemente, la causa. Ovvero: nessuno specificatamente di loro.

Ecco perché, in termini di scienza della complessità, si preferisce parlare di “innesco” (trigger) anziché di causa: un evento che innesca un processo è, ad esempio, il passaggio di uno sciatore che procura una valanga. Sarebbe scorretto parlare dello sciatore come la “causa” della valanga: la neve era pronta – nella quantità giusta, con la giusta temperatura, su un crinale inclinato al punto giusto – per distaccarsi dalla montagna. A quel punto è bastato il semplice passaggio di uno sciatore per trasformarsi in una valanga verso valle.

Così per la fiammella che accende la legna già pronta nel camino. Sarebbe scorretto parlare della fiammella come della causa del fuoco nel camino: la legna era già pronta – secca al punto giusto, sistemata nel modo giusto, della dimensione giusta – per essere accesa. A quel punto è bastata solo una fiammella per accendere il fuoco. E gli effetti sono amplificati rispetto all’innesco che li ha scatenati. Un modo che aiuta a distinguere una causa (lineare) da un innesco (complesso) è verificare se la relazione tra gli eventi è proporzionale oppure no. Se la relazione è esponenziale, siamo in presenza di una correlazione (complessa).

Lo sguardo in una correlazione complessa si sposta così dal guardare dietro di sé – il perché che cerca di indagare la catena causale che ci ha portato sino a qui – all’osservare il qui e ora, il contesto in cui siamo in questo preciso istante. E da questo presente – l’unica certezza che abbiamo, eppure sfuggente come chiudere nel pugno l’acqua che scorre – provare a lanciare lo sguardo un po’ più in là, verso un futuro che ancora non esiste, immaginando un tempo che ancora non c’è e che ipotizziamo sarà diverso dal tempo che stiamo vivendo. Divenire “lungi-miranti”, comprendere i possibili effetti dei circuiti ricorsivi in cui siamo anche noi uno degli eventi nelle tante catene multiformi e interconnesse. E interrogarci su quali possano essere i possibili inneschi che scateneranno una cascata di effetti a catena. Per imparare a interrogarci su quali potrebbero essere gli effetti delle nostre azioni e chiederci su cosa si vanno a innestare. Per decidere se accendere quella fiammella oppure no.

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