Attraversare lo specchio
Avventurarsi nel mondo nuovo alla scoperta delle ricchezze che nasconde
di Giuseppe Zollo
Alice gioca con la gattina Kitty sulla poltrona. Ad un certo punto viene attratta dallo specchio e inizia a fantasticare:
Oh, Kitty, come sarebbe bello poter entrare nella Casa dello Specchio! Sono sicura che ci sono delle cose meravigliose! Facciamo finta che ci sia un modo di entrare, Kitty. Facciamo finta che il vetro sia diventato morbido come nebbia, e che possiamo passare dall’altra parte. Ecco, guarda: sta diventando una specie di brina, proprio in questo momento, te lo dico io! Andare di là sarà facilissimo…1
Oltre lo specchio Alice trova un mondo che mette a dura prova le proprie convinzioni. Ma Alice è una bambina coraggiosa. Non si perde d’animo. Con disponibilità e curiosità accetta di buon grado la realtà enigmatica dietro allo specchio. Riuscirà a vivere un’avventura straordinaria, e noi lettori con lei.
Non so per quale strano cortocircuito mi è venuta in mente Alice mentre, per l’ennesima volta, sul quotidiano mattutino leggevo che “viviamo in un mondo complesso”. È una affermazione ripetuta tante volte nei discorsi colti e nelle chiacchere tra amici, negli articoli dei giornali, nei saggi scientifici, nei dibattiti televisivi. Ormai la complessità è diventata un luogo comune, una frase fatta, un semplice suono. Qualcosa come il “kyrie eleison” che pronunciavo da bambino nella messa in latino, senza avere alcuna idea del suo significato. Quel suono misterioso mi bastava, impenetrabile nel suo mistero, per evocare in me i misteri della divinità.
Cosa si intenda per complessità, beh, questo è un po’ più difficile. I sinonimi più usati del termine ‘complesso’ sono confuso, oscuro, intricato, astruso, complicato, difficile, e così via. Insomma, niente di buono, di piacevole o di utile. L’idea diffusa è che la complessità sia il diavolo da esorcizzare con ogni mezzo possibile per evitare di pagare un prezzo altissimo, che, per fortuna, non è la dannazione dell’anima, ma qualcosa di ugualmente temibile, la paralisi dell’azione.
La sensazione della maggiore complessità del mondo contemporaneo non è priva di ragioni. È il prodotto dei cambiamenti che ogni giorno dobbiamo affrontare nel lavoro, nella famiglia, nella socialità. Cambiamenti a cui siamo impreparati, perché, come Alice nel mondo dietro lo specchio, le conoscenze possedute sono di scarso aiuto.
Il mondo contemporaneo è incapsulato in una matassa di reti di comunicazione. È diventato enormemente più piccolo: chiunque può bussare alla mia porta virtuale e fisica. Ciò che è locale può diventare immediatamente globale e filtrare nella dimensione del mio quotidiano, come un’onda di tsunami che si propaga senza incontrare barriere. Alcune famiglie americane non riescono più a pagare il mutuo della casa, e innescano l’onda della crisi finanziaria del 2007-2008 che si propaga grazie alle efficientissime reti che collegano le istituzioni economico-finanziarie mondiali. Un tunisino si dà fuoco come protesta estrema contro i maltrattamenti della polizia e mette in moto l’onda di agitazioni della Primavera Araba grazie alla pervasività di Internet. Un cinese acquista al mercato di Wuhan un animale infettato da un virus e dà l’avvio alla pandemia Covid-19 che fa il giro del mondo in un paio di mesi grazie alla capillarità dei trasporti.
Nel mondo iperconnesso non vi sono oasi dove fuggire. Ogni evento può sconvolgere l’ordine del proprio ambiente di vita. Un mondo per cui, con grande fatica, abbiamo selezionato i valori, le conoscenze, le regole e le abitudini più appropriate. Nel mondo complesso due domande ci accompagnano sempre: in che situazione mi trovo? Che fare?
A questo punto ho due notizie da darvi: una buona e una cattiva. Cominciamo con la cattiva: la complessità è destinata ad aumentare.
La ragione è molto semplice. Le connessioni tra uomini e cose sono destinate ad aumentare in quantità, efficienza e qualità. Già circolano tecnologie che abilitano al dialogo diretto tra oggetti resi più intelligenti da sensori e microprocessori: l’auto può dialogare con la compagnia di assicurazione e il frigorifero col supermercato; presto molti altri oggetti potranno connettersi e decidere cosa fare uso delle risorse della rete telematica. Fra poco avremo le tecnologie per trasmettere via rete sensazioni che integrano odori e sensazioni tattili, insieme a immagini tridimensionali e ambienti virtuali. Le micro-tecnologie stanno cominciando a colonizzare il corpo umano per monitorare le reazioni chimiche e rilasciare i farmaci necessari.
Tutto questo fervore tecnologico ha come diretta conseguenza un aumento vertiginoso dei messaggi scambiati. L’iperconnessione si estenderà nel macro come nel micro, generando continuamente onde di eventi da fronteggiare.
Dobbiamo rassegnarci? O abbiamo un mondo per uscirne? È venuto il momento di darvi la buona notizia.
L’umanità molte volte ha fronteggiato un salto di complessità. Un caso emblematico è ciò che accade tra il ‘400 e il ‘500. Nel 1488 il navigatore portoghese Bartolomeo Diaz tocca il Capo di Buona Speranza e apre la rotta verso le Indie Orientali. Nel 1492 Cristoforo Colombo consegna alla corona spagnola la rotta per le Indie Occidentali. Tra il 1497 e il 1502 Amerigo Vespucci dimostra che le terre toccate da Colombo sono parte di un continente sconosciuto. Infine, nel 1522 la nave Victoria, unica superstite della spedizione di Ferdinando Magellano, ritorna in Spagna dopo aver compiuto il giro del mondo. Nel giro di 34 anni il vecchio mondo viene spazzato via. Le navigazioni trans-oceaniche per la prima volta mettono in connessione ambienti, paesi, popoli, conoscenze e consuetudini lontani e diversi.
I rapporti tra i popoli dell’Europa non sono più determinati dalle solite dispute di confine o da questioni dinastiche, ma anche, e in modo più profondo, dalla quantità di argento che arriva in Spagna dalla sperduta collina peruviana del Potosì (oggi in Bolivia), o dalle importazioni di noce moscata e chiodi di garofano dalle favolose Isole delle Spezie (oggi Molucche). Viceversa, il destino dei popoli americani, asiatici e africani non sta solo più nelle mani dei regnanti locali, ma anche, e soprattutto, nelle mani di sua maestà cattolica spagnola o di sua graziosissima maestà inglese. Nel giro di un paio di generazioni un secolare sistema di conoscenze viene polverizzato.
La dimostrazione visibile del cambiamento è nelle mappe del mondo. I geografi medievali avevano impiegato decenni di faticosi studi per dare una forma coerente al mondo, mettendo insieme meticolosamente la lezione delle sacre scritture, gli insegnamenti del mondo classico, le esperienze dei navigatori arabi e i racconti dei mercanti che tornavano dalle favolose terre d’oriente. La mappa di Fra Mauro del 1460 ne è un perfetto esempio2. È ritenuta l’ultimo mappamondo del mondo medievale. Ed è ricchissima di informazioni. Ad esempio, nel cartiglio che descrive l’isola dello Saylan (l’odierna Sri Lanka), Fra Mauro scrive (traduco dall’italo-veneziano del ‘400)3:
Si dice che il re di quest’isola abbia un rubino che è il più bello che esista al mondo; lungo e grosso come un braccio, è più brillante e rubicondo e senza imperfezioni. Si dice che in quest’isola ci sia una montagna che prende il nome da Adamo, la cui cima è così alta che non piove mai lì, né si sente il vento.
La fonte di tali credenze è Marco Polo, che scrive4:
E sì vi dico che i’ re di questa isola hae il piue bello rubino del mondo e che mai fosse veduto, e dirovvi come è fatto. Egli è lungo presso ch’un palmo, ed è grosso bene altrettanto come sia un braccio d’un uomo. Egli è la piue isprediente [splendente], egli non ha niuna tacca, egli è vermiglio come fuoco ed è di si grande valuta che non si potrebbe comperare. […] Ora è vero che in questa isola hae una grande montagna … E dicovi che in quella montagna si è il monimento [monumento, sepolcro] di Adamo nostro padre.”
Ora facciamo un salto di 47 anni e osserviamo la mappa di Waldseemuller5 del 1507. Ci rendiamo conto di una grandissima differenza. La mappa del 1507 espone la nuova visione del mondo dopo le prime grandi scoperte geografiche. Compare il nuovo continente a cui Waldseemuller assegna il nome di America, attribuendo erroneamente la scoperta ad Amerigo Vespucci6.
Ma la mappa di Waldseemuller ha un’altra particolarità, molto più importante. Rispetto a quella di Fra Mauro appare incredibilmente vuota. Dall’Asia e dall’Africa sono sparite una quantità di città, montagne, regni e notizie. Per l’isola di Seylan, che Waldseemuller chiama Taprobana in omaggio alla denominazione degli autori classici, il geografo si limita alle informazioni geografiche che ritiene di qualche fondamento. È sparito il re con il suo rubino. È sparita la montagna col sepolcro di Adamo.
Il confronto tra le due mappe evidenzia un fatto epocale: l’umanità in pochi anni scopre che il sistema di conoscenze edificato con tanta fatica nel precedente millennio non funziona più. Deve ripartire daccapo, recuperando le poche certezze superstiti, ma soprattutto prestando attenzione ai dati dell’esperienza, senza affrettarsi a generalizzare, a teorizzare, a semplificare, a sistematizzare, a pontificare. Impara a coltivare l’arte del dubbio e dell’ascolto, a farsi guidare dal principio di non-sapere. In poco più di un secolo sviluppa un nuovo e più efficace modo di produrre conoscenze affidabili: il metodo scientifico. Ma soprattutto diventa consapevole che, laddove non si sa, bisogna avere il coraggio di lasciare un vuoto, così da spingere gli altri a continuare a cercare.
La lezione che viene dalla storia è duplice: non bisogna arrendersi alla complessità che noi stessi abbiamo generato, né rimpiangere il vecchio mondo che ci ha lasciato. Bisogna fare come Alice: armarci di curiosità, di dubbi, di capacità di ascolto e di osservazione, e senza indugi, come un tuffatore, attraversare di slancio lo specchio delle nostre paure e avventurarci nel mondo nuovo alla scoperta delle ricchezze che nasconde. Forse, se abbiamo abbastanza coraggio, ci metteremo meno di un secolo ad inventare un modo adeguato per abitarlo.
Note
1 La citazione è tratta da Lewis Carroll, Attraverso lo Specchio, in Alice Annotata da Martin Gardner, traduzione a cura di Masolino D’Amico, Milano BUR extra, 2010, pagg. 174-175.
2 Si può esplorare la mappa di Fra Mauro al sito.
3 Ecco l’originale:“el re de questa isola se dice hauer uno rubi(n) | el più bello che sia al mondo longo una spana grosso come el braço splendidissi|mo e rubico(n)do sença alcuna macula. In questa se dice esser un monte dito de adam | ne la sumità del qual non pioue mai per la sua alteça né lì se sente uento.”
4 Ho tratto la citazione di Marco Polo da Il libro di Marco Polo detto Milione. Nella versione trecentesca dell’ottimo, edito da Einaudi nel 1954. La citazione del rubino si trova al cap. CL, pag. 185, mentre quella della montagna al cap. CLV, pag. 200.
5 È possibile esplorare la mappa di Waldseemuller al sito.
6 È quanto afferma lo storico Yuval Harari, in Da Animali a Dei. Breve storia dell’umanità, Milano, Bompiani, 2014, pag. 352.
L’immagine di copertina è di John Tenniel
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