Conoscenza e coscienza
La via per nascere con l’altro
di Marinella De Simone
La scienza moderna non è scienza nel senso in cui è intesa questa parola. “Scienza” (jnana, gnosis, scientia) vuole dire “conoscenza”. Conoscere significa stabilire una comunione cosciente e vitale con il reale, essere congiuntamente con ciò che si conosce: con-nascere (con-naître). La conoscenza è unione, compenetrazione (…); è fine a sé stessa: la stessa vita di chi conosce. Il conoscere comporta gioia, perché è salvezza, salva l’uomo dalla sua limitazione e lo apre fino ai confini stessi dell’universo. Il conoscere, in questo senso pieno, che è inseparabile dall’amare, fa vivere all’uomo la pienezza di ciò che è. La scienza moderna non è più conoscenza in questo senso classico e tradizionale. Non tutti gli uomini possono essere scienziati. Tutti, invece, sono chiamati a essere saggi, sapienti, a godere della realtà – conoscendola.
(Raimon Panikkar, Pace e disarmo culturale)
Una crisi cognitiva
Negli ultimi decenni è maturata una crisi cognitiva che investe sia la percezione, sia le emozioni, sia la comunicazione nei suoi aspetti linguistici e comportamentali.
La crisi di percezione si manifesta mediante un’incomprensione dei segnali che arrivano dall’ambiente circostante: le lenti di lettura che siamo abituati ad utilizzare non sono più adeguate a comprendere e riconoscere i segnali che ci giungono.
La crisi emozionale si manifesta attraverso un generale disagio, con un senso di malessere non solo individuale ma anche, e soprattutto, sociale.
La crisi nella comunicazione si manifesta sia nel linguaggio, che non è più in grado di descrivere ciò che si percepisce, sia ed ancor più nei comportamenti: non si sa più che cosa fare e come fare, mancando completamente una correlazione tra ciò che si fa e ciò che si ottiene come risultato del proprio operato.
È evidente che occorre cambiare il modo in cui percepiamo l’ambiente che ci circonda, il modo in cui comunichiamo con l’ambiente in cui siamo immersi ed il modo in cui ci sentiamo rispetto a tutto ciò: è in crisi il fenomeno cognitivo, sia personale che sociale; occorre, dunque, cambiare il modo in cui ci relazioniamo, ossia il modo in cui conosciamo ed apprendiamo. Occorre riapprendere ad apprendere.
Si sta diffondendo la consapevolezza che è necessario che ciascuno di noi modifichi il proprio modo personale di relazionarsi con l’altro e con tutto l’ambiente in generale: solo così si può sperare che possano avvenire anche i grandi cambiamenti di cui c’è necessità a livello planetario.
Quando si parla di necessità inderogabile di un cambiamento si fa riferimento all’esigenza di un cambio del paradigma scientifico e, più in generale, di un cambio del paradigma culturale; in altri termini, dell’urgenza di apportare un cambio radicale nel modo di pensare, di comportarsi e di sentirsi rispetto alla realtà con cui si entra quotidianamente in relazione. Si tratta di un cambio profondo della coscienza di ciascuno, del modo in cui ognuno percepisce sé stesso rispetto a ciò che vive e della responsabilità che ognuno si assume rispetto alle proprie azioni ed alle proprie convinzioni.
La realtà si conosce solo se ci si unisce ad essa, in una comunione con tutto ciò che è “altro” da noi. La conoscenza è il modo in cui ci relazioniamo con il mondo che ci circonda, che siano gli altri uomini o l’ambiente in generale non importa. E così, se per un verso la conoscenza diventa uno strumento da utilizzare per dominare l’altro attraverso lo sfruttamento del sapere esistente, per l’altro può divenire un processo attraverso il quale le idealità di ognuno, la coscienza di esser-ci con gli altri, si integrano per generare nuove opportunità di miglioramento, nuove possibilità per stare bene nel mondo.
Conoscenza e coscienza
Conoscenza e coscienza non sono solo due termini assonanti: essi indicano il modo in cui ciascuno può scegliere di porsi rispetto alle scelte che compie ed alle idee che privilegia, alle credenze cui aderisce ed ai comportamenti che realizza.
Questa nuova prospettiva, legata all’approccio della teoria della complessità e che potremmo definire come paradigma relazionale per distinguerlo dal paradigma classico e individualista, non è legata solo al punto di vista dell’oggetto conosciuto o da conoscersi – così come tradizionalmente si è fatto all’interno del paradigma scientifico e culturale in cui siamo tuttora immersi – e nemmeno solo al punto di vista del soggetto che conosce – un approccio di pensiero più recente e maggiormente legato all’analisi fenomenologica. L’approccio complesso, infatti, comprende e trascende entrambe queste due prospettive, riuscendo in tal modo a superare l’eterna dicotomia tra soggetto ed oggetto e consentendo la formazione di una nuova prospettiva, quella relazionale e generativa, con cui affrontare i problemi di sempre.
Questo cambio di paradigma non è certo facile da proporre ed è ancora più difficile da accettare; tuttavia, ne percepiamo l’urgenza e la necessità in tutti i campi del sapere umano, affinché possa incominciare a diffondersi un nuovo modo di intendere la ricerca, sia nella prospettiva delle scienze naturali sia in quella delle scienze sociali e, soprattutto, nelle possibilità che possono generarsi attraverso una loro relazione. Da più parti si parla in questo senso della nascita di una “epistemologia complessa”, ovverosia di una conoscenza della conoscenza che non pretenda di accedere all’unica verità possibile ma che sia, invece, consapevole dei limiti e delle possibilità del proprio operare.
Mente e mondo sorgono insieme: la conoscenza relazionale
È solo attraverso la relazione con l’altro che è possibile per la persona confrontare i propri saperi e scoprire che vi sono anche altre modalità, di cui a volte nemmeno si sospetta l’esistenza: solo osservando altri diversi da sé è possibile accorgersi della chiusura del proprio mondo di conoscenze acquisite ed aprirsi alla possibilità di apprendere qualcosa di nuovo ed imprevisto.
Nel caso in cui ciò che si conosce diviene il saper osservare con pacatezza l’altro e sé stesso, allora si realizza una modalità di osservazione in cui il giudizio è come “sospeso”: non si cercano raffronti di tipo quantitativo (“io so più di te” o “tu sai più di me”) o qualitativo (“io so meglio di te” o “tu sai meglio di me”) attraverso cui definire ordini sociali e gerarchie. Si determina, piuttosto, una forma di presenza mentale che così frequentemente manca nella nostra cultura; si tratta di una modalità di attenzione consapevole a ciò che si fa ed a ciò che si dice, a ciò che fanno ed a ciò che dicono gli altri, a ciò che si osserva ed alla modalità con cui si osserva, alle convinzioni ed ai pregiudizi che tanto ostacolano le nostre possibilità di migliorare.
Ciò permette di cogliere in prima persona quelle che sono le proprie esperienze e la propria conoscenza, divenendo come osservatori di sé stessi, in grado di sospendere pregiudizi e convinzioni, per imparare a “riflettere sul riflettere”.
La conoscenza non appartiene né all’oggetto né al soggetto, poiché è un processo circolare che non consente di distinguere l’oggetto dal soggetto, e viceversa. Come sostengono Maturana e Varela, “mente e mondo sorgono insieme”: i due termini della relazione sono soltanto un’illusione – sempre che non se ne riducano i significati attraverso astrazioni, forzature e distorsioni. Perché l’unica cosa ad esistere è il processo: il processo della conoscenza relazionale.
La conoscenza che emerge dalla relazione tra soggetto ed oggetto è una conoscenza relazionale, che non appartiene né all’uno né all’altro, e che non ha, pertanto, alcun tipo di fondamento o di certezza; essa scaturisce dall’agire, o meglio dall’interagire, come fenomeno che caratterizza la vita.
Le conseguenze etiche di questo approccio sono rilevanti: ogni atto che si compie è una interazione, cioè un’azione fondata sulla relazione, attraverso la quale emerge una definizione reciproca sia di sé e del proprio mondo che dell’altro e del suo mondo. La responsabilità personale che ne discende è determinante, poiché non è più possibile, in questa prospettiva, separare il soggetto dalle azioni che compie né ipotizzare di poter dominare l’oggetto come qualcosa di separato da sé.
Ogni uomo diviene responsabile di una realtà che si determina per emergenza dall’agire intersoggettivo; una realtà libera da ogni fondamento e, dunque, libera da ogni pregiudizio sulla sua possibile evoluzione.
Ogni atto percettivo, ogni emozione, ogni comunicazione diviene così la via per nascere con l’altro, un “con-nascere” non solo verso la sapienza, ma anche verso la saggezza.
Credits: foto di copertina è di Gerd Altmann da Pixabay
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