Dossier Resilience Management pubblicato su L’Impresa
Su L’Impresa di ottobre 2015 è uscito un intero “Dossier Resilienza” di 6 pagine, che riprende i temi toccati durante la Complexity Management Summer School 2015 dedicata appunto alla resilienza nelle organizzazioni. Il dossier si compone di tre parti ed è stato redatto da tre Docenti della Summer School:
- “Le ragioni della complessità” di Marinella De Simone
- “Come misurare la vitalità delle aziende” di Alessandro Cravera
- “La sfida del Resilience Management” di Dario Simoncini
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Ecco alcune parti dei tre interventi:
Metamorfosi e nuove competenze
(da “Le ragioni della complessità”)
Quali sono dunque le capacità nuove che servono in questa fase di “metamorfosi” di sistemi dentro sistemi, che sembrano ad un primo sguardo come delle scatole cinesi da cui non si riesce ad uscire ma in cui si rischia di rimanere incastrati nell’impossibilità di agire su più livelli che stanno interferendo in contemporanea?
Si è parlato più e più volte delle competenze necessarie, che non sono affatto banali, come del resto non lo sono i problemi da affrontare. Si è parlato di nuove forme di “intelligenza”, non legate alle capacità logiche e tecniche – già abbondantemente implementate negli studi tradizionali – ma a capacità di connessione, definite anche “intelligenze relazionali”: non solo l’intelligenza emotiva, ovvero la capacità di riconoscere e gestire le proprie e le altrui emozioni, ma anche l’intelligenza percettiva come capacità di leggere il contesto interno ed esterno, l’intelligenza sociale come la capacità di gestire efficacemente “piccoli gruppi ad elevate prestazioni”, l’intelligenza collettiva come la capacità di riconoscere e gestire le dinamiche collettive che si innescano tra grandi gruppi di persone in modo spontaneo e con effetti spesso imprevedibili.
La vera natura dell’impresa
(da “Come misurare la vitalità delle aziende”)
Si continua a pensare alla finalità dell’impresa in un modo sbagliato, da un punto di vista esterno alla stessa. Pensare che il fine dell’impresa sia generare un profitto significa, ad esempio, confondere l’impresa con gli azionisti. Credere che il fine dell’impresa sia generare prodotti e servizi che soddisfino dei bisogni, significa confondere l’azienda con i suoi clienti. Ritenere che lo scopo dell’azienda sia valorizzare le persone significa confondere l’impresa con esse. E, infine, pensare all’azienda come un generatore e distributore di ricchezza, assimila lo scopo dell’impresa a quello della comunità in cui opera. L’impresa, però, è molto di più di un mezzo per soddisfare il fine di un gruppo di interesse. Se davvero vogliamo sviluppare organizzazioni resilienti, dobbiamo cominciare a considerare un’azienda come un soggetto cognitivo in sé. Un soggetto cognitivo il cui fine non può essere esterno a essa e non può non coincidere con la sua stessa esistenza nel tempo, attraverso il mantenimento della sua capacità di crearsi e rigenerarsi continuamente. Considerare l’impresa come un sistema vivente e individuare nella sua esistenza la sua finalità ha importanti ripercussioni per il management e per la società in genere.
Le abilità necessarie
(da “La sfida del Resilience Management”)
La gestione di un processo di resilienza dovrà essere affidata a manager con abilità di lettura dei contesti – locale e globale – e, soprattutto, dotati di un forte intuito nella percezione di quei segnali deboli a cui affidarsi per porre immediatamente in allerta i sistemi strategici ed operativi. E’ il sistema dei segnali deboli che permette di dare consistenza all’ipotesi che emergano fenomeni distorsivi e/o distruttivi. Spesso, gli eventi che generano crisi e contaminano esponenzialmente gli spazi dell’operatività sono apparentemente improvvisi perché in effetti sono dormienti o in fase di evoluzione; non vengono di fatto rilevati perché sottostimati od ignorati per l’assenza di un processo di resilience management.
per informazioni:
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