Questo scritto è la rielaborazione della ottava e ultima parte di un articolo precedentemente pubblicato nel 2016 all’interno del volume collettaneo “Polis Europa”, redatto a seguito di una conferenza internazionale.
Il tema trattato continua a mantenere una rilevanza significativa ancora oggi; anzi, in molti casi, ha acquisito un’importanza ancora maggiore rispetto a qualche anno fa.
Europa come sistema complesso
8. Una nuova cultura umanistica fondata sul pensiero complesso
di Marinella De Simone
Occorre un nuovo tipo di umanesimo, che non sfoci più, come avvenuto in passato, nella deriva arrogante degli esseri umani posti al centro del mondo, governatori indiscussi della natura ed artefici dei destini della Terra, secondo un approccio esclusivista e riduzionista e che ha trascinato più volte nel baratro lo stesso sentimento umano. È essenziale, invece, operare affinché si diffonda una cultura che integri la natura nella nostra esistenza in modo inclusivo, la molteplicità delle identità nell’unità di una identità emergente, senza distruggerne la potenza creatrice e innovatrice.
Come ci ricordano Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti:
“Il carattere specifico dell’identità europea è la varietà. Varietà di radici e di matrici, di lingue e di confessioni, di paesaggi e di regioni. Fin dal suo primo delinearsi, dopo la rottura dell’unità culturale del bacino del Mediterraneo e attraverso il faticoso stabilirsi di una nuova unità culturale in nuovi spazi e verso nuove direzioni, l’Europa ha vissuto tutte le dimensioni di questa varietà. Fin da allora, ha anche sperimentato convivenze e dialoghi, ibridazioni e integrazioni, mescolanze e convergenze”.
La visione complessa aiuta a comprendere come l’essere umano non possa che essere considerato parte di un tutto, di cui ha il dovere di prendersi cura – specie oggi, visto lo stato di imbarbarimento che sta portando il mondo sull’orlo dell’abisso della propria distruzione.
Prendersi cura significa avere quella capacità generativa e rigenerativa che sorge solo dal comprendere dove siamo – qual è lo spazio che occupiamo – e qual è il tempo che stiamo vivendo, e come tutto questo divenga un contesto comune.
Si tratta di civilizzare la globalizzazione, cosa che finora non è stata fatta. Manca infatti un “pensiero del contesto”, in grado di comprendere il complesso che lo attraversa e che lo costituisce momento per momento.
La globalizzazione è un processo che ha attraversato ripetutamente la storia europea, dalla scoperta delle Americhe alle crisi finanziarie, economiche e politiche di questi anni; l’abbiamo subìta come qualcosa di ineluttabile che accadeva indipendentemente dalla nostra volontà, rimanendo ciechi di fronte ai suoi effetti spesso catastrofici.
È fondamentale oggi pensare alla civiltà della globalizzazione come dialogo tra culture diverse, in grado di integrare le diversità locali su scala globale, mantenendo l’irriducibilità di ciascuna. Solo una civiltà – ed in particolare un nuovo pensiero politico – in grado di collegare, contestualizzare, integrare le conoscenze, può aiutare l’ultima, attuale metamorfosi dell’Europa che può renderla attiva nel mondo, contribuendo alla trasformazione globale.
“Mai, nella storia d’Europa, le responsabilità del pensiero e della cultura sono state così tremende”.
(Edgar Morin, Mauro Ceruti, 2013)
Questo articolo è stato pubblicato in Polis Europa, Europäische Akademie Bozen, 2016
La foto di copertina è di WikiImages da Pixabay
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