I miei non falsi errori
Cosa accade ai confini del caos
di Giuseppe Zollo
Tra i concetti più intriganti della teoria della complessità vi è quello di edge-of-chaos. Il concetto vuole affermare che la vita, in tutte le sue forme, dalla cellula agli ecosistemi, si manifesta ai confini del caos. Le entità viventi, grazie alla capacità di combinare ordine e disordine, riescono a mantenere nel tempo una propria identità e struttura, pur rinnovando continuamente i propri componenti. Pertanto, l’organizzazione di un sistema vivente non può essere assimilata né all’immutabile ordine di un cristallo, né al convulso disordine di una nuvola di fumo. È qualcosa che sta in mezzo.
Ho impiegato mesi di furiose letture per farmi una idea di cosa accada ai confini del caos. Ma qui non voglio parlarvi di quanto ho scoperto, piuttosto delle immagini mentali che mi hanno aiutato nel processo di comprensione.
Dante evoca più volte la potenza delle immagini. Al canto XXVII del Paradiso, il poeta, dopo aver indugiato a osservare la Terra lontana, rivolge gli occhi a Beatrice affinché la propria “mente innamorata” possa godere del suo volto. Lo struggente desiderio di quel volto spinge il poeta a riflettere sulla capacità della natura e dell’arte nel produrre immagini così piacevoli da conquistare l’anima dell’osservatore. L’espressione, al verso 92, è folgorante: “pigliare gli occhi, per aver la mente”. Le immagini, ci dice il poeta, sono un veicolo potente per afferrare, attraverso gli occhi, la mente delle persone.
Il secondo riferimento l’ho trovato nel Purgatorio, al canto XV. Dante è immerso in una visione estatica di esempi di mansuetudine. Alla fine della visione afferma:
Quando l’anima mia mi tornò di fori
a le cose che son fuor di lei vere
io riconobbi i miei non falsi errori.(Paradiso, vv. 115/117)
In parafrasi: quando l’anima mia cominciò a percepire le cose del mondo (di fori), che sono vere perché esistono fuori della mia immaginazione (fuor di lei vere), allora riconobbi che le visioni erano irreali (‘errori’, perché non provenivano dai sensi), ma tuttavia errori ‘non falsi’, perché utili per comprendere meglio la lezione divina della mansuetudine.
Da Dante ho ricavato una indicazione: le immagini mentali non sono né false né vere: sono espedienti che ci aiutano a comprendere meglio il mondo che ci circonda.
Ecco, dunque, le immagini che ho evocato nel tentativo di afferrare il senso di quell’edge-of-chaos. La prima immagine è la riga bianca tracciata a terra al checkpoint Charlie per segnare il confine tra Berlino Est e Berlino Ovest. La linea, nel mio caso, divide l’ordine dal disordine. Man mano che focalizzo l’attenzione sull’immagine della linea mi rendo conto che essa è troppo sottile, direi evanescente. Come può un sistema vivente svilupparsi su un’esile linea? Deve per forza oscillare un po’ di qua e un po’ di là. Un movimento pendolare: un po’ va verso la zona del disordine per raccogliere risorse, fatti, novità, poi oscilla all’indietro ritornando verso la zona dell’ordine per tessere una trama di relazioni tra i fatti appena raccolti. E così via.
Nel movimento oscillante il sistema vivente si comporta come lo scienziato di Popper: prima raccoglie i dati dall’esperienza (oscillazione verso il disordine), poi va alla ricerca di schemi in grado di connetterli in un tutto coerente (oscillazione verso l’ordine); quindi ritorna di nuovo verso il disordine per verificare se lo schema trovato resiste alla prova di fatti nuovi. Avanti e indietro, senza fine. I viventi funzionano così. Il nostro sistema cognitivo funziona così. La scienza funziona così1.
L’immagine dell’oscillazione ne trascina una seconda: quella di un pendolo, che oscillando trasforma l’energia potenziale in energia cinetica, cioè in movimento, e viceversa. Nell’immagine del pendolo vedo il sistema vivente che trasforma i significati potenziali nascosti nell’esperienza in un costrutto di senso capace di indirizzare valutazioni e decisioni2.
Ma l’immagine del confine non mi soddisfa del tutto. Il problema è che l’edge-of-chaos, inteso come una esile linea, non rende conto del fatto che proprio lì, su quel margine, un sistema vivente spende la propria esistenza. L’edge-of-chaos dovrebbe avere un’estensione.
Ecco che mi viene in soccorso un’altra immagine, ricavata dal libro di Paolo Rumiz del 2015, Trans Europa Express. Il resoconto di un viaggio che taglia verticalmente l’Europa, da Murmansk sul Mare di Barents, fino a Odessa sul Mar Nero. Un viaggio per antiche regioni frontaliere dai nomi fantastici di Carenia, Livonia, Rutenia, Podolia, Bucovina, Bessarabia, Dobrugia. Luoghi che segnavano i confini degli imperi russo, tedesco, austroasbugico, turco. Rumiz annota: “Sulla frontiera la gente mi spiazzava sempre”. Lontano dai centri di potere, lungo quella indefinita terra di confine, si sviluppa una cultura, una società, una economia con una propria specificità. Nella mia mente emerge una nuova immagine: l’edge-of-chaos non è una linea sottile, ma un nastro dai colori cangianti: una striscia di terra di nessuno, come la zona franca che separa le trincee di eserciti contrapposti.
Nelle terre di confine le comunità assimilano qualcosa da una parte, qualcosa dall’altra, mescolando il tutto per dare vita a qualcosa di inedito. È il luogo dove nuove abitudini si fanno strada, dove il potere normalizzatore dei centri lontani giunge affievolito. Il modo di pensare e vivere che spiazzava Rumiz non era altro che l’auto-organizzazione di una comunità che riciclava, con un certo margine di libertà, frammenti di culture diverse.
Rifacendo il percorso all’indietro, mi accorgo che le immagini evocate non convergono: l’immagine iniziale era una linea di confine che separava ordine da disordine; l’immagine finale è una terra di nessuno dove si mescolano in modo inatteso elementi che appartengono a criteri d’ordine diversi.
Il risultato, un po’ sconcertante, può essere riassunto così:
Prima immagine: disordine – edgeofchaos – ordine
Seconda immagine: ordine – edgeofchaos – ordine
Sono due interpretazioni inconciliabili? Devo scegliere?
Devo confessare che ci ho riflettuto a lungo. A un certo punto mi è venuto in soccorso un altro passaggio della Divina Commedia. Nel canto X del Purgatorio, nella prima cornice dei superbi, Virgilio invita Dante, che ha indugiato a osservare una immagine di virtù, a “non tener pur a un loco la mente” (v. 46), cioè di non fissare l’attenzione su una sola immagine (a un loco). Ogni immagine afferma qualcosa, quindi è utile tenerle in vita tutte.
Così, mentre rimuginavo sulle mie immagini, ho afferrato un’idea: per ogni sistema ordinato, ogni altro ordine diverso dal proprio è eresia, minaccia, estraneità. In altre parole, disordine. D’altra parte, un sistema perfettamente ordinato, perfettamente coerente, è un sistema morto, incapace di movimento, di adattamento, di sviluppo. Per questa ragione, la vita deve stare nel mezzo, può esistere solo se l’ordine viene scosso continuamente dal disordine. La contaminazione, lo scompiglio, il caos è essenziale alla vita quanto l’ordine. Il caos non sta altrove, separato dall’ordine: sta dentro la vita, perché la vita è continua mescolanza di ordine e disordine. Talvolta è il disordine a prendere il sopravvento, talvolta è l’ordine. Ma l’oscillazione non deve mai fermarsi.
Potenza delle immagini!
Note
1 Si veda Karl Popper, Logica della scoperta scientifica [1934], Einaudi, Torino, 1970.
2 Immagine non tanto astrusa, tenendo conto che alcuni autori sostengono una corrispondenza tra i processi di trasformazione energetica e quelli di gestione dell’informazione nel sostenere l’organizzazione del vivente. Un buon punto di partenza per approfondire il tema è Henri Atlan, Tra il cristallo e il fumo. Saggio sull’organizzazione del vivente. Firenze, Hopeful Monster, 1979.
La foto di copertina è generata con IA
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