Inter-essere

 Qualcuno ricorderà quando Thây parla delle nuvole…

di Marinella De Simone

Qualcuno di voi ricorderà quando Thây parla delle nuvole che si possono vedere nella foglia? Ogni volta che ne ho parlato ognuno si era reso conto che sì, nella foglia c’è la nuvola, perché se non ci fosse più la nuvola non ci sarebbe più né pioggia né acqua e le piante non potrebbero crescere e quindi neanche la foglia ci sarebbe più. Per questo, quando tocchiamo profondamente la foglia, tocchiamo anche la nuvola dentro di lei, ed è impossibile togliere la nuvola dalla foglia, sennò la foglia cesserebbe di esistere. Poi vediamo che anche il sole splendente è nella foglia, la terra e anche una gran moltitudine di altri elementi sono in lei e quando le chiediamo “Chi sei tu?” è molto difficile rispondere. Se dicesse: “Sono una foglia” non sarebbe molto profondo, perché guardando profondamente in lei vedreste l’intero cosmo.

(Thich Nhat Hanh, Discorsi ai bambini e al bambino interiore)

 

È entrato nel cuore, nella mente, nell’anima delle tante persone che lo hanno conosciuto. Un piccolo monaco, che ha usato parole di pace e di amore semplici e lievi come fiori, eppure così pesanti da costringerlo all’esilio dalla sua terra di origine, il Vietnam, per circa 40 anni.

Ci ha insegnato a camminare portando attenzione ad ogni passo, a respirare portando attenzione a ogni respiro, a parlare portando attenzione a ogni parola.

Nella sua semplicità disarmante, nel suo sguardo in cui traspare un leggero sorriso, c’è la potenza rara della presenza mentale, la forza incommensurabile dell’amore per tutti gli esseri animati e inanimati. Si sente, si percepisce, non c’è bisogno che qualcuno ci traduca le sue parole o ci spieghi i suoi gesti: arrivano direttamente al nostro cuore e alla nostra mente, piantando un piccolo seme di quella presenza mentale e di quell’amore dentro di noi. Come dice Thich Nhat Hanh ai bambini che lo ascoltano: “Quando vi guardo con occhi amorevoli, con gli occhi della fiducia e dell’ammirazione, viene piantato in voi un seme buono”.

E a noi chiede di innaffiare quel seme, affinché possa crescere e fortificarsi. E di fare lo stesso anche noi con gli altri esseri: guardarli con occhi d’amore, di comprensione, per piantare in loro i semi dell’amore e della comprensione.

Thich Nhat Hanh è stato un monaco buddhista zen, che ha vissuto da giovane la guerra nella sua terra di origine, il Vietnam, schierandosi non per uno dei due Paesi in conflitto, ma per la pace. Ha dovuto abbandonare il suo Paese ed ha vissuto prevalentemente nel Sud-Ovest della Francia, fondando il Plum Village e una rete di altri monasteri in diverse parti del mondo, che ospitano sia monaci e monache che laici. Solo recentemente è potuto rientrare nel suo Paese, dove si è spento all’età di 95 anni.

Ha definito il buddhismo che portava nel mondo “buddhismo impegnato”, per sottolinearne la focalizzazione sull’azione consapevole e la rinuncia all’isolamento monastico. Ha scritto di azione politica e di cambiamento sociale nonviolento, ha tenuto percorsi di mindfulness e di trasformazione personale.

Per lui, la vera spiritualità era vivere pienamente il momento dell’azione, e agire come se le nostre mani fossero dotate di occhi in grado di guardare in profondità1. Mente e corpo fusi nel gesto che compiamo, totalmente concentrati. Così, da ogni gesto può sgorgare la gratitudine, la gioia, la felicità. Piccoli gesti di cui è fatta la nostra esistenza e in cui si nasconde – agli occhi di chi non sa guardare – la felicità di sentirsi parte dell’incommensurabile.

Questo è stato Thich Nhat Hanh – che nella sua comunità veniva chiamato con affetto Thây, Maestro – per chiunque abbia letto le sue parole, ascoltato i suoi discorsi, partecipato alle sue camminate.

A Plum Village gli ospiti privilegiati erano i genitori con i bambini, e parlava, con parole diverse, sia agli uni che agli altri, poiché riteneva l’educazione all’amore e all’azione consapevole la base fondamentale per poter arrivare in futuro a un mondo senza guerre e violenza.

Una delle pratiche che più amava fare era la meditazione camminata, invitando sia gli adulti che i bambini a dire interiormente “sì, sì” per i primi due passi, e “grazie, grazie” per i successivi due passi, e così di seguito2. Una pratica di concentrazione che apre alla gratitudine profonda verso tutto ciò che esiste e che è con noi mentre camminiamo.

La meditazione Thich Nhat Hanh la chiamava anche “guardare in profondità”. Esserci nel momento presente, l’unico che abbiamo veramente, e osservarlo in profondità, per comprendere la situazione e agire con consapevolezza. E sottolineava come non fosse necessario farlo stando seduti in solitudine o ritirati dal mondo, ma farlo mentre agiamo nella nostra vita quotidiana: mentre cuciniamo, mentre mangiamo, mentre laviamo i piatti. Piccoli gesti che, se guardati in profondità, aprono alla comprensione della realtà nella sua interdipendenza, nel suo inter-essere, come lo chiamava Thây3.

Inter-essere è un altro modo di definire la mancanza di un sé separato, l’altra faccia della medaglia dell’impermanenza. Sia l’impermanenza che la mancanza di un sé sono temi centrali in tutto il pensiero buddhista: mentre l’impermanenza ha a che vedere con il continuo mutamento nel tempo, la mancanza di un sé separato ha a che vedere con il continuo mutamento nello spazio. Nulla esiste di per sé e tutto è impermanente. Ed è dall’attaccamento a un sé, dall’attaccamento alla permanenza, che nasce la nostra sofferenza. Solo nella relazione, nell’interdipendenza che lega ogni essere animato o inanimato all’altro, possiamo osservare con stupore e meraviglia l’intreccio delle esistenze: la nuvola, la foglia, la loro vita, la loro morte. E vedere l’intero cosmo in ognuno di loro.

Sapeva parlare ai bambini e insegnare loro la consapevolezza dell’inter-essere che gli adulti stentano a capire. Mostrava loro che in ogni essere, animato o inanimato che sia, possiamo intravedere, se guardiamo in profondità, tutti gli altri esseri che hanno contribuito alla sua esistenza, essendo intrecciati l’uno con l’altro. Che in ogni nostra cellula c’è l’intero cosmo: il sole, il vento, le nuvole, gli alberi, gli animali, l’acqua, i fiori. Che nel nostro corpo e nella nostra mente possiamo scorgere tutte le generazioni che ci hanno preceduto e tutte quelle che seguiranno, ciò che è già stato e ciò che ancora potrà manifestarsi, per noi e attraverso di noi.

Perciò ogni nostro passo, quando camminiamo, è un passo che facciamo insieme a tutti coloro che ci hanno preceduto – dai nostri genitori fino ai nostri antenati – e a tutti coloro che seguiranno – i nostri figli, nipoti, pronipoti. Ogni passo diviene così un passo importante, da fare con la consapevolezza di tutto questo. La consapevolezza che siamo in continuo divenire, e che ogni azione che compiamo – o che ci asteniamo dal compiere – è come innaffiare dei semi che abbiamo piantato nel nostro giardino interiore. Semi di gentilezza, di pace, di amore, oppure semi di rabbia, di odio, di dolore. Sta a noi scegliere quali semi vogliamo far germogliare e far crescere e quali vogliamo lasciar seccare.

Voglio ricordare due di quattro mantra che Thây ci ha insegnato, che sono entrati in me come semi e che hanno germogliato bellissimi fiori nel tempo. Sono i mantra dell’amore, come lui li ha chiamati, e che ha insegnato in tante diverse occasioni. I mantra sono delle frasi – che lui stesso definisce come “una formula magica” – che si pronunciano quando si è veramente concentrati e consapevoli.

Il primo mantra è: “Caro, cara, sono qui per te”. Sentirlo profondamente e dirlo in consapevolezza è un atto di amore straordinario, è il dono di tutto te stesso che fai all’altro nel momento presente.

Il secondo mantra è: “Caro, cara, so che sei qui e sono molto felice”. È il riconoscimento dell’altro e la gioia che si prova per la sua presenza, come un dono che stiamo ricevendo qui e ora. Un inno alla vita, un inno alla bellezza. La meraviglia è rivolgere questo mantra non solo alle persone che ci sono più vicine e che amiamo, ma anche a chi non conosciamo e, ancor più, a tutto ciò che ci circonda: rivolgersi a un albero, a un fiore, a un filo d’erba, a un sasso e, con consapevolezza profonda, dir loro: “Caro, cara, so che sei qui e sono molto felice”.

Grazie, Thây.

Note

1 Thich Nhat Hanh, L’amore e l’azione. Sul cambiamento sociale non violento, Ubaldini Editore, 1995.
2 Thich Nhat Hanh, Discorsi ai bambini e al bambino interiore, Ubaldini Editore, 2002.
3 Thich Nhat Hanh, Il segreto della pace. Trasformare la paura, conoscere la libertà, Oscar Mondadori, 2003.

La foto di copertina è sotto licenza Creative Commons CC BY-SA 2.0

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