Alcune considerazioni scaturite dalla lettura (e rilettura) del piccolo libro di François Cheng: “Cinque meditazioni sulla bellezza”, edito da Bollati Boringhieri
Riconoscere il senso della bellezza: come un sesto senso, quello che supera e trascende i sensi del corpo. Il sesto senso, che comunemente releghiamo ad una incerta ‘intuizione’, è il senso del bello: la nostra anima che si apre e si riconosce attraverso la bellezza. Non più il corpo che si risveglia, ma l’anima personale che si collega all’altro attraverso il senso della bellezza. La bellezza di un viso, di uno sguardo, di un movimento, di un suono: usiamo i nostri sensi corporei per svelare qualcosa di più profondo, che solo la bellezza consente. La bellezza che ci coglie di sorpresa e ci collega all’anima dell’altro, trascendendo la fisicità di entrambi.
Ecco come Cheng introduce le sue cinque meditazioni sulla bellezza:
Capisco istintivamente che senza la bellezza, la vita non varrebbe probabilmente la pena di essere vissuta e che, d’altra parte, un certo tipo di male proviene proprio da un uso orribilmente pervertito della bellezza.
E’ questa la ragione per cui mi presento oggi davanti a voi per indagare – piuttosto tardi a dire il vero nella mia vita – la questione della bellezza, cercando di non dimenticare l’esistenza del male. Compito arduo e ingrato, lo so. In un’epoca di confusione di valori sembra più comodo mostrarsi beffardi, cinici, sarcastici, disincantati o disinvolti. Il coraggio di affrontare questo compito mi giunge, credo, dal desiderio di attendere a un dovere nei confronti di coloro che soffrono e di coloro che non ci sono più, ma anche di coloro che verranno.
Così è anche per la bellezza di un luogo: tocca la nostra anima e la collega all’anima del luogo, inscindibilmente e per sempre. Possiamo dimenticarcene, ma pochi ed improvvisi elementi colti dai nostri sensi corporei – un odore, un sapore, una luce particolare – rigenerano una colleganza che non è mai cessata.
Noi spesso ci illudiamo – attraverso la nostra sempre pronta capacità di semplificare la vita fino a renderla banale – che si tratti solo di ricordi, di mondi solo nostri che ormai non esistono più se non dentro la nostra testa, nascosti in chissà quali neuroni. Dimentichiamo che si tratta di una forma di ‘colleganza’.
Noi portiamo dentro di noi, attraverso i nostri ricordi, non solo la nostra anima ma anche quella del luogo che ci ha toccato nel profondo. Così l’anima del luogo porta in sé la stessa colleganza: ha bisogno di essere riconosciuta da noi per rigenerarsi.
Cosa succede dei luoghi che non vengono più riconosciuti? La bellezza di quei luoghi rimane occultata, a volte per decine o centinaia di anni. Fino a quando qualcuno, chissà come e perché, non arriva fin lì e ne sente – inspiegabilmente e profondamente dentro di sé – l’essenza profonda e la necessità imprescindibile di riportare quei luoghi alla loro bellezza originaria, ripulendo, strato dopo strato, ciò che si è accumulato in anni ed anni di torpore ed abbandono.
La bellezza dei luoghi non più riconosciuti può essere addirittura stravolta, deturpata da chi ha perso dentro di sé il proprio senso della bellezza, la propria anima. Mi capita spesso di osservare come lo squallore di alcuni luoghi richiami tante persone; un tempo pensavo si trattasse di povertà, di non potersi permettere economicamente qualcosa di meglio. Con il tempo e l’osservazione, mi sono accorta che non è così banale: il legame è molto più profondo. Spesso le persone sono disposte a pagare moltissimo per stare in luoghi orrendi, dove il senso dell’abbandono, della trascuratezza, del brutto si è impossessato della bellezza originaria deturpandola per sempre.
Ecco perché è così importante che il legame, la colleganza che ci ha corrisposto in un luogo rimanga viva e venga rigenerata nel tempo: i luoghi hanno bisogno di essere riconosciuti nella loro anima da quella degli uomini.
La differenza tra la bellezza come ‘colleganza’ e la bellezza come ‘dato di fatto’ è rilevante. La colleganza richiama un processo – tra due o più persone o tra una persona ed un luogo – che può, o meno, avvenire. C’è una scelta che la persona compie che deriva dal suo ‘essere’ nel mondo.
Non confondiamo l’aspetto materiale, pur se fondamentale ed essenziale, con quello più trascendente della persona nella sua interezza ed unicità. E’ come negare la possibilità dell’emergenza, intesa proprio nel senso datole dalla complessità. Come emergenza, la bellezza non appartiene a nessun corpo, né a nessun luogo; è solo grazie alla relazione che riconosce l’unicità dell’esistenza dell’altro che si genera il senso della bellezza negli occhi di chi guarda. Come avviene, del resto, per qualunque altro dei cinque sensi più ‘corporei’.
Dal mio punto di vista, è con l’unicità che ha inizio la possibilità della bellezza. L’essere vivente non è più un automa tra gli altri automi, né un mero volto in mezzo ad altri volti. L’unicità trasforma ogni essere in presenza, che, proprio come un albero o un fiore, non smette mai di tendere, attraverso il tempo, verso la pienezza della propria fioritura, che è la definizione stessa di bellezza. In quanto presenza, ogni essere è virtualmente abitato dalla capacità di bellezza, e soprattutto dal desiderio di bellezza. A un primo sguardo, l’universo potrebbe sembrare popolato semplicemente da un insieme di volti; in realtà, è abitato da un insieme di presenze. Sono quasi propenso a credere che ogni presenza, che non può essere ridotta a null’altro, si riveli come una forma di trascendenza. (…)
E’ da questa realtà che nasce la possibilità di dire “io” e “tu”, che nasce la possibilità del linguaggio e forse addirittura dell’amore. Ma, per limitarci al tema della bellezza, possiamo constatare che all’interno della presenza di ogni essere, e da una presenza all’altra, tende a stabilirsi una complessa rete di intrecci e comunicazioni. All’interno di questa rete si situa, per l’appunto, il desiderio che percepisce ogni essere di tendere alla pienezza della propria presenza al mondo. Più un essere è consapevole, più questo desiderio in lui diviene complesso: desiderio di sé, desiderio dell’altro, desiderio di trasformazione nel senso di una trasfigurazione (…). In questo contesto, la trascendenza di ogni essere di cui stiamo parlando si rivela e può esistere soltanto all’interno di una relazione che la innalzi e la oltrepassi. La vera trascendenza, paradossalmente, è nell’intra.” (F. Cheng, Cinque meditazioni sulla bellezza)
François Cheng