La mente innamorata
La letteratura e l’arte ci aiutano a sperimentare le situazioni della vita senza barriere artificiose
di Giuseppe Zollo
Dante, nella sua cosmografia ultraterrena, pone il nono cielo, chiamato Primo Mobile o Cristallino, a segnare il confine tra l’universo sensibile e l’Empireo, la dimora di Dio. Il Cristallino è un cielo speciale. Non dà punti di riferimento perché “le parti sue… /sì uniforme son” (Pd XXVII 100-102. Non sta in nessun luogo, perché oltre c’è solo l’Empireo, sede immateriale della mente divina: e “questo cielo non ha altro dove/che la mente divina” (Pd. XXVII 109-110). Ha un moto velocissimo, non generato da causa materiale, ma dall’amore divino.
Nel Cristallino Dante comprende che per avere esperienza del Paradiso dovrà potenziare i propri sensi, perchè non può far affidamento sulle consuete abilità percettive. Appena prima di entrare nel Cristallino rivolge gli occhi a Beatrice:
La mente innamorata che donnea
con la mia donna sempre, di ridure
ad essa gli occhi più che mai ardea;
e se natura od arte fé pasture
da pigliare occhi per aver la mente,
in carne umana e ne le sue pitture,
tutte adunate, parrebber niente
ver’ lo piacer divin che mi refulse
quando mi volsi al suo viso ridente.
(Pd. XXVII 88-96)
In parafrasi: la mia mente innamorata che sempre vagheggia Beatrice (il verbo donneare è ripreso dal lessico poetico provenzale col significato di trattenersi in conversazione amichevole o galante con una o più donne) più che mai desiderava di ricondurre a lei gli occhi; e se mai la natura con i corpi umani o l’arte con le pitture sono stati in grado di nutrire con forme seducenti gli occhi al fine di conquistare la mente (fé pasture, con riferimento agli animali domestici, sta per portare al pascolo, pasturare, nutrire), allora tutte quelle immagini radunate insieme sarebbero niente in confronto al piacere divino che mi inondò di splendore (mi refulse) quando mi volsi al suo viso ridente.
Il piacere che assorbe dal volto ridente di Beatrice fa comprendere a Dante che solo una mente innamorata ha esperienza del Paradiso. Normalmente, vedere presuppone la volontà di distinguere le cose viste, con una netta separazione tra il soggetto che vede e l’oggetto veduto. La mente innamorata no, vede in modo diverso. Si ciba di ciò che vede, si lascia conquistare. L’oggetto dell’amore, del piacere o del desiderio piglia gli occhi per invadere la mente e possederla. Poco più avanti nel poema Dante precisa meglio l’effetto provocato dalla mente innamorata, appellando Beatrice quella che imparadisa la mia mente (Pd. XXVIII 3).
Imparadisa è un neologismo di Dante. Il poeta inventa verbi simili per esprimere la medesima esperienza. Usa incielare (“perfetta vita e alto merto inciela/donna più su”, Pd III 97) per affermare che Santa Chiara sta in un cielo più vicino a Dio grazie alla sua vita virtuosa e ai suoi meriti. Usa il verbo indiarsi (“colui che più s’india”, Pd IV 28) per descrivere chi si conforma alla gloria di Dio. Il verbo indonnarsi (“quella reverenza che s’indonna/di tutto me pur per Be e per ice”, Pd VII 13-14) per esprimere il sentimento di reverenza che si impadronisce della sua anima all’udire alcune sillabe del nome di Beatrice. Infuturarsi (“s’infutura la tua vita”, Pd XVII 98) per una vita che si prolunga nel futuro. E poi, inleiarsi (“prima che tu più t’inlei”, Pd XXII 127), inluiarsi (“Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia”, Pd. IX, 73), intuarsi e immiarsi (“s’io m’intuassi come tu t’immii”, Pd. IX 81), il cui significato è facilmente intuibile. Verbi che descrivono l’azione di tramutarsi nell’altro o essere posseduto dall’altro, diventare parte integrante di ciò che si sta vivendo. Una condizione di immedesimazione totale, che dissolve le forme conchiuse di persone e cose, fondendole in una sola fluida unità.
Facciamo un esperimento mentale: domandiamoci qual è la forma dell’acqua. La risposta ovvia è che l’acqua non ha una forma propria, è materia fluida che assume la forma del recipiente che la contiene. Sarà cilindro in una pentola, semisfera in una coppa, nastro in un ruscello, lastra quando è ghiacciata, goccia quando piove. Ora immaginiamo di essere completamente immersi nel mare. L’acqua avvolge completamente il nostro corpo. È impossibile dare una forma alle miriadi di sensazioni che avvertiamo. Non c’è alcun recipiente visibile, l’acqua non ha forma, e dunque non vediamo l’acqua. È ciò che accade a Dante quando Beatrice gli imparadisa la mente. Beatrice lo sommerge e lo impregna di sensazioni, e Dante scompare come individuo distinto da Beatrice, perché la sua mente è tutta avvinta dai turbamenti che la relazione amorosa provoca.
Nel 1995, un gruppo di scienziati coordinati da Giacomo Rizzolatti hanno dimostrato la presenza nell’uomo dei neuroni specchio1. Hanno scoperto che quando vedo una persona piangere sento il suo dolore come mio, perché attivo i suoi stessi neuroni. La mia mente, letteralmente, piange, anche se i miei occhi sono asciutti. È una scoperta fondamentale, che fa luce sulla comprensione affettiva che ci fa vivere dall’interno le azioni o le emozioni altrui. I neuroni specchio ci trasformano esseri intrinsecamente sociali. E ci spiegano, tra l’altro, cosa accade nella mente innamorata di Dante quando si imparadisa.
Non è necessario rifare il viaggio di Dante nell’aldilà per imparadisarsi: ci viene naturale quando siamo perdutamente innamorati. Imparadisarsi per mezzo di un’opera d’arte, invece, richiede un processo più sofisticato che coinvolge tre entità: l’artista, l’opera e il fruitore. Non c’è più una persona a trasmettere le sue emozioni, ma un oggetto materiale: una superficie colorata, un pezzo di materia o un flusso sonoro. Come fa l’arte a pigliare la mente?
Nel 2018 sono stato circa un’ora a contemplare La colazione dei canottieri di Auguste Renoir. Il dipinto è presso la Phillips Collection di Washington. Raffigura un gruppo di amici che chiacchierano rilassati in una località di villeggiatura vicino Parigi mentre consumano una colazione. Dunque, niente di particolare. Non c’è nessun simbolismo, nessun significato nascosto. Tutto ciò che serve per comprendere il dipinto sta in ciò che si vede. Il dipinto ha una attrazione magnetica. Il godimento sta nel vagare a caso sulla superficie, saltare da un personaggio all’altro, seguire la direzione degli sguardi, centellinarne i gesti, farsi guidare dalle corrispondenze dei colori. Lo spettatore man mano entra a far parte di quella compagnia tra amici.
Ho compreso la magia del dipinto leggendo il romanzo La vita moderna che Susan Vreeland dedica alla sua realizzazione2. Quando l’autrice, a proposito della difficoltà di Renoir di dipingere una modella, scrive: “Se fosse stato innamorato di lei, non avrebbe avuto difficoltà di dipingerla”, ho scoperto che il segreto del quadro era la mente innamorata di Renoir. Ma non solo. Perché Auguste Renoir fa qualcosa in più: riesce a condividere con noi la sua esperienza. Come faccia ce lo svela ancora la Vreeland, descrivendo i gesti dell’artista al lavoro:
Infilò delicatamente la punta del pennello carico di colore nelle pieghe più nascoste della gonna, le increspature di un blu intenso, violaceo dove non arrivava la luce del sole, e li accarezzò, spingendosi sempre più in fondo con tocchi gentili e ripetuti, umidi sulla tela già umida, un ritmo lieve all’inizio e poi sempre più pressante, avido, teso impetuoso.
[…] ll pennello volava di qua e di là, in cerca di luoghi su cui posarsi. Doveva dedicare quei momenti preziosi alla vista d’insieme. I dettagli si affollavano di ogni da ogni parte. La manica di Aline che si intravedeva dietro il calice. Allungò il rosso della fascia di velluto sopra il blu ancora umido, per sfumarne i contorni. Sembrava un rubino sospeso dentro un bicchiere. Ora il ritmo era dato dalla ripetizione dei colori: i papaveri rossi come l’orlo delle maniche di Alphonsine e il fiocco che aveva in vita, il nastro sulla paglietta di Paul, l’orlo del colletto di Angèle, le sue labbra e quello di Alphonsine, e i nuovi orecchini di Aline, la loro vaga complicità: un rosso acceso e squillante come un suono di campane.
Aline Charigot è la donna che gioca col cane, modella moglie e musa di Renoir. Alphonsine è la giovane appoggiata alla ringhiera, figlia del padrone della Maison Fournaise, il ristorante dove è ambientata la scena. Angèle è la donna che beve dal bicchiere al centro della composizione. Paul è Paul-Auguste Lhote, uno dei più cari amici di Renoir, posto in alto a destra col cappello di paglia col nastro rosso.
Renoir danza con gli occhi e con la mano per cogliere il brillio della luce, il guizzo del colore, lo sfumato che cancella contorni delle persone e delle cose. Ho trovato la stessa precisa danza di gesti nel breve video che mostra Monet che dipinge nel suo giardino.3
Per tradurre su una superficie dipinta le proprie emozioni e riuscire trasmetterle intatte dopo circa 140 anni, Renoir ha fatto qualcosa in più che stabilire relazioni affettive con le persone, il cagnolino e le cose che dipinge. Ha inventato un metodo, una tecnica, un linguaggio. Per avere una idea del linguaggio pittorico di Renoir, andate su Google Art, ingrandite al massimo l’immagine e osservate le labbra di Aline: non c’è un bordo, ma un colore rosso che sfuma progressivamente nel colore del fondo. Osservate i bicchieri sul tavolo: Renoir dipinge solo lampi di luce. L’artista elimina qualsiasi linea che ostacoli il movimento dell’occhio sulla superficie del dipinto. Crea una morbida fluidità nel vedere che ci fa rivivere le sue stesse sensazioni: ci fa assaporare la luminosità della giornata, il calore degli amici, il gusto delle conversazioni, il sapore del vino, gli odori del fiume, la calma indolente e appagante di un bel pomeriggio estivo. In altre parole, imparadisa la nostra mente.
La letteratura e l’arte, come Dante aveva già intuito, ci allenano a rinvigorire la mente innamorata, aiutandoci a sperimentare senza artificiose barriere le situazioni della vita. Ci dicono anche che la mente innamorata è solo condizione necessaria, ma non sufficiente. Per vivere esperienze pienamente consapevoli, per poterle condividere con gli altri è necessario padroneggiare un linguaggio, sviluppare un metodo, una tecnica. In una parola, la letteratura e l’arte ci insegnano a insituazionarci, utilizzando in egual misura sia l’emozione che la ragione.
Note
1 Rizzolatti, G., & Sinigaglia, C. (2019). Specchi nel cervello: come comprendiamo gli altri dall’interno. Raffaello Cortina.
2 Vreeland, S (2007), La vita moderna. Beat.
3 Rathbone, E.E. (2017), Renoir and his Friends. Luncheon at the Boating Party. The Phillips Collection.
La foto di copertina è di Gerd Altmann da Pixabay
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