La scienza della complessità studia le interrelazioni tra i fenomeni della vita, nascendo essa stessa come interrelazione tra le diverse discipline: coniuga le scienze naturali con le scienze umane, lo scientifico con l’umanistico, l’osservatore con l’osservato, scardinando in tal modo tutti i presupposti posti alla base dell’edificio meccanicista.
Applicando un approccio qualitativo all’analisi dei fenomeni, la scienza della complessità consente di comprendere come funziona l’insieme, svolgendo un’analisi sia del tutto che delle relazioni tra le parti che compongono il tutto, in un sistema dinamico di relazioni.
Non si tratta solo di cercare i punti di contatto già esistenti tra le diverse discipline, secondo un approccio interdisciplinare – già di per sé indispensabile per non continuare a ragionare per compartimenti stagni che non comunicano tra loro – ma anche e soprattutto di far emergere, attraverso una modalità transdisciplinare, una “scienza nuova”, la scienza della complessità.
In breve, per riuscire a traghettare il pensiero di questo nuovo secolo da modalità ormai vecchie ed inadeguate ad un modo nuovo di intendere la presenza umana sulla Terra in modo sostenibile, è indispensabile partire dalle singole discipline del sapere per connetterle tra loro e, facendole dialogare, permettere l’emergere di un nuovo tipo di conoscenza umana fondata su un nuovo modo di concepire la “scienza”.
Con le parole di Edgar Morin (da Il paradigma perduto):
Il nuovo paradigma dell’antropologia fondamentale richiede una ristrutturazione della configurazione complessiva del sapere. Non si tratta solo di stabilire relazioni diplomatiche e commerciali tra le discipline, dove ognuna si confermi nella sua sovranità.
Si tratta di mettere in causa il principio di discipline che mutilano con l’accetta l’oggetto complesso, il quale è costituito essenzialmente dalle interrelazioni, le interazioni, le interferenze, le complementarità, le opposizioni tra elementi costitutivi ciascuno dei quali è prigioniero di una disciplina particolare.
Perché esista una vera interdisciplinarità, c’è bisogno di discipline articolate e aperte sui fenomeni complessi, e, ben inteso, una metodologia ad hoc. C’è bisogno anche di una teoria – un pensiero – transdisciplinare che si sforzi di abbracciare l’oggetto, l’unico oggetto, continuo e discontinuo a un tempo, della scienza: la physis.
Si tratta, dunque, non soltanto di far nascere la scienza dell’uomo, ma di far nascere una nuova concezione della scienza, che contesti e sconvolga, non solo le frontiere stabilite, ma le pietre angolari dei paradigmi, e, in un certo senso, l’istituzione scientifica stessa.
Noi sappiamo che l’idea sconvolgente è sempre accolta male, e che le nostre proposizioni ci varranno lo sfavore di tutti quelli a cui il concetto attuale di scienza sembra assoluto ed eterno. Ora noi sappiamo anche che la nozione di scienza è cambiata, e sentiamo sempre più forte l’esigenza del suo cambiamento.
La Scienza nuova, o scienza generale della physis, dovrà stabilire l’articolazione tra la fisica e la vita, cioè tra entropia e antientropia, tra la complessità microfisica (ambiguità corpuscolare-ondulatoria, principio di indeterminazione) e la complessità macrofisica (autorganizzazione). Essa dovrà stabilire l’articolazione tra il vivente e l’umano….”
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