Le tre dimensioni dell'umano
Per una vita degna di essere vissuta
di Marinella De Simone
Se si fa silenzio, è possibile udire ogni suono nella sua essenza. Impariamo dunque a non stordirci di vane parole durante il giorno, a non cedere al rumore del mondo. Impariamo a sentire il basso continuo che punteggia il canto innato che è in noi, che giace nel fondo dell’anima. Quest’anima, capace di risuonare con l’Anima universale, può stupirci per la sua vastità insospettata. Sapere che si ha un’anima o ignorarlo non è la stessa cosa. Sapere che si ha un’anima significa portare un’attenzione vigile ai tesori che possono offrirsi nel grigiore dei giorni, che si esercita a seppellire tutto. Tesori scovati, che non affidiamo più alla polvere del solaio, che custodiamo gelosamente invece di gettarli al vento. Volontariamente o a nostra insaputa, allora diamo il via a un processo in cui il corpo carnale si satura in funzione dell’anima, e l’anima, istruita dal corpo ma senza sottomettersi ad esso, diventa una entità sempre più autonoma, e carnale.
(François Cheng, L’anima. Sette lettere a un’amica, Bollati Boringhieri, 2018)
Le dimensioni dell’umano includono l’aspetto materiale, socio-relazionale e spirituale. Questi tre aspetti dell’essere umano sono inscindibili e non possono essere posti sullo stesso piano: mentre quello materiale esprime gli interessi ed i bisogni da soddisfare, quelli socio-relazionale e spirituale esprimono i valori della persona, che non sono negoziabili come gli interessi.
Nessuna di queste dimensioni può essere annullata ed ogni dimensione ha bisogno dell’altra per poter assicurare il benessere della persona. La relazione tra questi tre aspetti della dimensione umana è di tipo moltiplicativo e non additivo: una di queste non può crescere a discapito di un’altra – per esempio, aumentando la dimensione materiale e riducendo quella socio-relazionale – e tutte devono essere presenti, pena la perdita totale non solo del benessere umano, ma della stessa dimensione umana.
Molti di noi conoscono “la piramide dei bisogni” di Maslow, alla cui base vi sono i bisogni primari, come i bisogni fisiologici e il bisogno di sicurezza, poi vi sono i bisogni sociali e relazionali, come il bisogno di affetto e di stima, e infine i bisogni di auto-realizzazione. Questa piramide presuppone un ordine di priorità nella soddisfazione: prima abbiamo bisogno di aver placato la fame per poterci dedicare alle relazioni e, solo dopo aver trovato corresponsione negli affetti e nelle amicizie, alla nostra auto-realizzazione.
Ciò non è, tuttavia, corretto, in quanto il benessere dell’uomo non segue una successione temporale in cui prima può essere soddisfatta una categoria di bisogni e successivamente le altre, ma tutte e tre le dimensioni devono essere presenti contemporaneamente.
La dimensione materiale è essenziale che venga soddisfatta nei suoi bisogni fondamentali, in modo da assicurare la sopravvivenza di ciascuno. Ma per vivere una vita piena, degna di essere vissuta, è necessario che vengano riconosciute e sviluppate anche la dimensione socio-relazionale e la dimensione spirituale.
La dimensione materiale, infatti, concerne la nostra sopravvivenza biologica, ma non può andare oltre. Non è attraverso questa dimensione che possiamo illuderci di arrivare a vivere una vita piena. La parola ‘sopravvivere’ è composta da due parole, sopra e vivere, ovvero vivere sopra agli altri, vivere di più degli altri. È un concetto che porta con sé il significato di vivere oltre la morte degli altri, come il sopravvissuto a un incidente aereo o a un terremoto in cui altre persone sono morte. Sopravvivere porta con sé la lotta contro la morte, propria e degli altri.
L’essere il più forte, o il più adatto a sopravvivere, è divenuto un pensiero mainstream dall’800 in poi, ed ha alimentato e giustificato tutta una serie di corollari che ancora oggi ci influenzano profondamente. Corollari di questo pensiero sono, ad esempio, la competizione come leva per il miglioramento personale e sociale, l’accumulo di ricchezza come manifestazione di successo, il successo come conferma sociale dell’essere il migliore: tutto ciò conduce alla conseguente condanna sociale e morale per chi non ce l’ha fatta, ed è rimasto povero o senza lavoro.
La sopravvivenza giustifica e fagocita tutto. Siamo diventati ipertrofici di cibo, di oggetti, di denaro, in un vortice di bisogni materiali da soddisfare che si alimenta di sé stesso. In questa prospettiva, non c’è spazio per lo sviluppo delle capacità sociali e relazionali della persona, che non possono giustificare la propria esistenza, laddove entrano in conflitto con i bisogni di sopravvivenza che dominano su tutto il contesto sociale.
Per riconoscere l’importanza delle altre due dimensioni dell’umano, è necessario abbandonare una visione della vita come mera sopravvivenza e comprendere, accogliendolo in sé, il bisogno di vivere una vita piena, una vita che sia una buona vita per ogni essere umano.
Le tre dimensioni dell’umano corrispondono alle tre dimensioni del benessere per l’uomo: il benessere materiale, il benessere socio-relazionale e il benessere spirituale.
Il benessere materiale riguarda la relazione dell’uomo con i beni e i servizi: è una relazione di utilità fondata sull’avere. È ciò su cui la dottrina economica dominante ha concentrato la sua attenzione, dimenticando le altre dimensioni del benessere umano.
Il benessere socio-relazionale riguarda la relazione dell’uomo con le altre persone: la famiglia, gli amici, i colleghi e l’ambiente sociale in generale, ed è fondato su una relazione di reciprocità che apre la strada alla felicità. I beni a cui si fa riferimento sono i beni socio-relazionali, beni che hanno anche un valore intangibile in quanto inseriti in una relazione sociale. Una parte della dottrina economica – l’economia civile – si sta occupando, sempre più in questi ultimi anni, di questo tipo di beni e dei principi su cui sono fondati. Se il benessere socio-relazionale dovesse essere governato da una relazione di utilità, come a volte accade, ne deriverebbe una sofferenza altissima per le persone coinvolte, che si sentirebbero trattate come strumenti o, peggio, come oggetti da sfruttare.
Il benessere spirituale riguarda la relazione con i beni spirituali, beni intangibili come l’equità, la dignità, l’anima. La relazione con questi beni è di trascendenza, di sacralità, di amore universale: va oltre il sé per arrivare al sentimento di appartenere a qualcosa di più grande e profondo che ci lega all’essenza stessa della vita.
Per assicurare il benessere sociale di una comunità, queste tre dimensioni vanno innanzi tutto riconosciute: solo così possono essere protette e aiutate nel loro sviluppo.
Il concetto di sviluppo è stato, purtroppo, confuso spesso con il concetto di crescita, portando così al paradosso di una crescita teoricamente illimitata di solo alcune dimensioni del vivere umano. Tuttavia, nemmeno biologicamente è possibile avere una crescita infinita, essendo la crescita di qualunque essere vivente un processo di tipo sub-lineare limitato infine dalla morte. Una crescita illimitata dal punto di vista sociale ed economico – come la crescita delle megalopoli o la crescita della produzione di ricchezza – portano alle inevitabili distorsioni che tutti conosciamo bene, come le diseguaglianze sociali e la distruzione del nostro stesso pianeta.
Come ricorda Stefano Zamagni a proposito delle cause di natura sociopolitica delle diseguaglianze, è necessaria una distinzione chiarificatrice tra i due termini “crescita” e “sviluppo”, spesso utilizzati come sinonimi. Etimologicamente, sviluppo significa senza viluppi, ovvero senza i lacci e le catene che impediscono la libertà di agire1.
Lo sviluppo umano ha quindi un legame diretto con le libertà reali di cui possono godere le persone realizzando le tre dimensioni umane come forme di “capacitazione”, ovvero di “capacità in azione” che permettono la manifestazione in pienezza di una buona vita2.
La dimensione materiale è divenuta ipertrofica, riducendo al minimo le altre due. È, tuttavia, di importanza fondamentale riconoscere le altre due dimensioni – quella socio-relazionale e quella spirituale – per contenere la dimensione materiale nell’alveo che dovrebbe esserle proprio.
Il riconoscimento della dimensione socio-relazionale sta riprendendo vigore solo in questi ultimi anni, in cui si sta affermando sempre più la visione dell’uomo non come mera individualità ma come ‘animale sociale’, accettando l’importanza fondamentale della sfera sociale e relazionale di ogni agire umano.
La dimensione spirituale è invece quasi completamente assente persino dai nostri discorsi, divenendo qualcosa di cui vergognarsi a parlarne pubblicamente. Relegandola alla sfera più intima, è stata spesso confinata al solo ambito religioso della persona, soffocando il bisogno di manifestare l’amore universale nella sua ampiezza e completezza come elemento essenziale della stessa esistenza umana.
Mentre la sfera materiale ci rende simili a qualsiasi essere vivente, la sfera socio-relazionale ci rende simili, pur nella diversità, ad altre specie animali e vegetali che mostrano interazioni sociali di gruppo e comportamenti collettivi.
Se privassimo una persona della sfera materiale, non potrebbe sopravvivere alla pari di qualunque altro essere vivente. Se privassimo una persona della sfera socio-relazionale, la mancanza di inclusione sociale, di affetto, di stima, di comprensione da parte di altre persone, comporterebbe un inaridimento psicologico ed emotivo tale da portare sofferenza e malattia. Senza la sfera socio-relazionale creata da una fitta rete di connessioni, anche gli alberi – secondo gli studi più recenti – si ammalano più facilmente e muoiono.
Se privassimo una persona della sua sfera spirituale, cosa ne resterebbe? Forse è l’aspetto che più ci caratterizza come esseri umani, distinguendoci da altre forme di vita – vegetali e animali – che mostrano sia la sfera materiale che quella socio-relazionale.
Nella storia dell’uomo ci sono stati casi ripetuti di de-umanizzazione non solo di specifiche persone, ma di intere collettività, giustificati da motivi di razza, religione, cultura, sesso, disabilità fisiche. E questi processi di de-umanizzazione sono passati attraverso la cancellazione della sfera spirituale delle persone: negando la loro dignità e l’esistenza stessa di un’anima, la loro vita non era più degna di essere vissuta. Eliminare la sfera spirituale – ad esempio, non riconoscendo la dignità della persona – rende la persona stessa superflua, non solo con una vita non degna di essere vissuta, ma addirittura non degna di vivere. Ecco perché è così importante ridare lo spazio necessario alla dimensione spirituale dell’uomo. Senza la dimensione spirituale, perderemmo la nostra umanità, ciò che ci rende così vulnerabili e potenti allo stesso tempo.
1 Stefano Zamagni, Disuguali, Aboca, 2020.
2 Amartya Sen, Sviluppo è libertà, Mondadori, 2000.
La foto di copertina è di Alexandr Ivanov da Pixabay
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