L’Interazione Uomo-Robot spiegata con la Teoria della Complessità
di Claudio Lombardo*
Introduzione
È un qualcosa di sconvolgente, percettivamente stupefacente, l’interazione con un robot che esibisce un grado di intelligenza simile ad un bambino di 6 anni.
Il robot, la creazione dell’iperattività scientifica umana, è capace di produrre una reciprocità comunicativa con l’essere umano che va al di là dell’ordinaria comprensione; una comprensione che, spesso, si limita a valutarlo come un insieme di viti, fili, bulloni, microchip e transistor, senza alcuna capacità di poter innescare una comunicazione emotivamente efficace. Le ricerche hanno rivelato che l’uomo è coinvolto – non solo cognitivamente ma anche emotivamente – durante l’interazione con un robot umanoide.
In frangenti come questi, in cui nella nostra mente si restringe l’ampiezza logica di ciò che è umano e ciò che non è umano, l’interrogativo è il medesimo: “Perché?”
Approcci alla complessità in robotica
In robotica, specificamente nell’interazione uomo-robot, ci sono due modi di applicare la complessità:
- La complessità può rappresentare in questo contesto una categoria utile per interpretare il comportamento di sistemi nei quali l’insieme delle interazioni determini comportamenti globali difficilmente ma (non impossibilmente) riducibili alle singole parti (Villamira, Manzotti, 2004); nel caso specifico le parti costituenti il robot (parte meccanica, algoritmi, ecc.). La complessità nasce dalla interazione di componenti che agiscono simultaneamente (Waldrop, 1992) e si autorganizzano «a livello locale (cioè ‘dal basso’); la complessità si trova dunque nell’organizzazione degli elementi del sistema, o meglio nella loro autoorganizzazione» (Faggioni, 2011).
- «La necessità di avere più teste che affrontino uno stesso problema al fine di cogliere la complessità, per evitare il rischio di riduzionismi e semplificazioni inevitabili per un singolo individuo» (Telferner, Casadio, 2003).
L’interazione tra un uomo e robot necessita della presa in carico di molteplici punti di vista nonché l’intervento di più discipline (ingegneria, neuroscienze, psicologia, sociologia, antropologia, ecc.): più un robot risulta essere complesso e più l’interazione si fa interessante per l’uomo.
Costruire una efficace interazione tra uomo e robot mediante una visione complessa
Dunque, il livello di complessità di un sistema dipende dal numero delle sue componenti, dal numero e dalla direzione delle interazioni (Casati, 1991). Il comportamento organizzato è una proprietà “emergente” e spontanea delle interazioni locali non lineari tra le sotto-componenti del sistema (Bridgman et al., 1927). Questo è cruciale: la proprietà emergente indica il fatto «che il sistema esibisce proprietà inspiegabili sulla base delle leggi che governano le sue componenti se osservate singolarmente» (ibidem).
Per una efficace e totale Interazione Uomo-Robot (HRI) – così come nell’Interazione Uomo-Uomo (HHI) – non è solo bene riferirci alle analisi, ricerche e studi che vertono su una delle abilità più importanti che la costituiscono – come la Teoria della Mente (ToM) – ma porre, in primis, un piano di evoluzione, di confronto tra uomo e robot, ovvero una regola generale che “categorizzi” un robot umanoide rispetto ad un essere umano.
I robot ci hanno dato un nuovo modo di definire l’intelligenza (intelligenza naturale e artificiale) e l’interazione (HHI e HRI) così come hanno permesso di capire l’importanza del corpo (embodiment). Ma in queste similitudini tra uomo e robot, come potremmo – in virtù di una crescente propensione a sviluppare robot sempre più forniti di connotati umani – differenziarne un’identità evolutiva a livello sistemico?
Cos’è, in altri termini, un robot?
Nella mia tesi universitaria questo punto è stato analizzato indicando gli uomini come sistemi ad alta complessità e i robot sistemi a media complessità (una diminuzione di complessità riconducibile al passaggio da modelli reali a computazionali). Distinzione che spinge a riflettere se il robot del futuro dovrà dimostrare di essere intelligente, lavorando su un livello logico, o senziente e tendere ad una complessità più alta, ovvero quella umana.
Conclusioni
La distinzione tra questi due sistemi (uomo/robot = alta/media complessità) non pone solo un modo di categorizzare entità (uomo o robot) sul piano scientifico ma mette i riflettori sulle reali circostanze che li costituiscono a livello evolutivo ed evoluzionistico, circostanze che spesso, nell’epistemologia popolare – e dunque su un’interazione società-robot – sono confuse e che spingono ad antropomorfizzare senza controllo i sistemi cibernetici dotandoli di aspetti umani intrisi di scenari apocalittici.
Come riferito da Buttazzo (2000) «la nascita della prima macchina dotata di coscienza artificiale potrebbe essere legata al superamento di una soglia critica di complessità» (Buttazzo, 2000).
Note biografiche dell’autore
Claudio Lombardo è laureato in Scienze Organizzative e Gestionali; Scienze e tecniche psicologiche; Processi cognitivi e Tecnologie (*Tesi: La teoria della mente nell’interazione uomo-robot in una prospettiva evoluzionistica e in relazione alla teoria della complessità»), nonché in Scienze dell’Alimentazione.
È autore dei libri: «Iscriversi in palestra e continuare ad andarci», «Dal mondo del sovrappeso all’universo dell’obesità», «La scienza del dimagrimento», «Non sono un algoritmo». È coautore dei libri «La dipendenza affettiva tra normalità e patologia», «Violenza di genere: quando la vittima è lui», «Il corpo nell’arte».
*Da Claudio Lombardo riceviamo e volentieri pubblichiamo.